Leonardo unisca Davinci e Automazione per rilanciarsi a Genova

Repubblica Genova di domenica 25 aprile 2021
di Minella Massimo

Guai a considerare solo “genovese” la partita dell’automazione di Leonardo. Perché i confini, spiega il vicepresidente del consiglio regionale della Liguria Armando Sanna, Pd, sono nazionali e chiamano il governo a una presa di coscienza sugli assetti industriali del Paese. Assetti che continuano a vedere Genova al centro delle strategie di grandi gruppi a controllo pubblico, di multinazionali private, di realtà industriali a capitale familiare. Un mix industriale e produttivo da valorizzare, non certo da marginalizzare. Certo, il Recovery Plan può intervenire a sostegno delle iniziative, favorendo investimenti. Ma è uno scenario più ampio che si deve puntare, uno scenario in cui il capitale umano è al centro”

 

Sanna, ma come giudica quello che sta accadendo con la volontà di Leonardo di cedere l’Automazione? 

«È sempre più evidente che le grandi holding industriali che hanno produzioni per la difesa e civili tendono in questo momento di grave crisi a puntare di più sulle prime».

Perché? 

«La scelta si può spiegare con l’obiettivo di conservare le produzioni che offrono margini più sicuri e consistenti anche per preservare l’azienda e i livelli occupazionali».

Non sarebbe la prima volta… 

«No, certo. Questo fenomeno si è ripetutamente visto nella galassia di Ansaldo-Leonardo con l’ingresso di realtà straniere come Toshiba. Ma c’è anche un caso rimasto italiano, quello dei superconduttori ora gestiti dalla famiglia Malacalza».

E poi c’è Ansaldo Energia. 

«Si, questo processo è continuato anche recentemente, soprattutto con la cessione di Ansaldo Energia, poi acquisita da CdP, e quindi rimasta in mani pubbliche italiane, e con Sts e Breda ora Hitachi e quindi giapponesi».

Ma non crede che la cessione di produzioni industriali civili a realtà di altri Paesi sia un punto nodale della questione? 

«Sì, per questo è necessario porre con forza il tema della Golden Power. Non è un ragionamento nazionalistico astratto, ma una riflessione strategica perché anche quando le attività continuano a funzionare grazie a operazioni di qualità, la perdita di importanti head quarters pone un problema di rinforzamento della leadership di altre realtà internazionali».

A quali casi pensa? 

«Whirlpool, Embraco. Ma ormai è chiaro che in settori strategici, penso all’acciaio, i grandi soggetti privati italiani non hanno la forza di intervenire in questi processi. Per esempio nel caso del rilancio dell’Uva si è dovuto impegnare direttamente lo Stato».

Su questi temi c’è secondo lei un’attenzione trasversale? 

«Guardi, questo tema della proprietà degli asset industriali non è più sollevato solo dai lavoratori e dalla sinistra, ma è stato rilanciato recentemente da un governo presieduto da un ex governatore Bce che comprende forze di centrodestra, una delle quali esprime il ministro dello Sviluppo Economico. Del resto il tema lo rilanciò Prodi I quando ipotizzò l’ingresso almeno temporaneo di Cdp nel capitale di alcune aziende in difficoltà per evitare di perdere un patrimonio industriale o di vederlo acquisito, magari in saldo, da aziende internazionali a buon mercato».

Quindi, il perimetro del caso-Automazione non è solo genovese, vero? «Proprio così, è una questione che deve interessare non solo la città e il mondo del lavoro, ma anche il governo. E non in una logica difensiva di 400 lavoratori, ma in una riflessione strategica, su ciò che il Paese vuole difendere in termini di patrimonio industriale sugli assetti proprietari di questo patrimonio».

Su Genova, però, il perimetro sembra cambiato… 

«In effetti, colpisce il fatto che fino a pochi anni fa Leonardo, dopo la cessione di Ansaldo Energia e Sts, era presente in due grandi siti industriali: Torre Fiumara e Sestri. Successivamente questa presenza si è concentrata nell’edificio di Sestri. Questo da l’idea di un significativo ridimensionamento occupazionale. I lavoratori ci hanno spiegato durante lo sciopero che la Business Unit Automazione occupa ben 400 lavoratori su un totale di 1600-1800. Quindi se l’operazione di vendita andasse in porto si vedrebbe una drastica riduzione della presenza di Leonardo».

Ci sono però segnali in controtendenza, da questo punto di vista. 

«È vero. L’azienda ha rinunciato a vendere Torre Fiumara e ci ha installato il super calcolatore Davinci, presentato come uno strumento fondamentale per la medicina predittiva in un momento in cui il tema sanità è al centro dell’attenzione mondiale. Al momento la Torre è occupata per un terzo da questa attività che riguarda alcune decine di lavoratori qualificati. Sembra di capire che Leonardo voglia sviluppare il progetto occupando l’intero edificio e conseguentemente aumentando l’occupazione».

Ma non si potrebbe rimettere insieme i due siti produttivi? 

«In effetti, il supercomputer è un attività che si può applicare a qualunque branca dell’attività, anche civile. Quindi, i due siti produttivi, Torre Fiumara e Sestri, supercalcolatore e automazione, potrebbero camminare insieme».

Ma che cosa propone?

«Una suggestione: valutare un uso delle potenzialità del Davinci, magari non immediate, per dare quel valore aggiunto tale da rendere l’Automazione competitiva, fina fame un punto di forza di Leonardo. È un invito a ragionare nel momento in cui tutto cambia con il Recovery, occasione unica per l’Italia. Sono sicuro che un management intelligente vorrà fare una riflessione su questo. E sono certo che la vorranno fare anche i lavoratori e le istituzioni locali e nazionali».